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Una casa con le pareti di cristallo

di Lucia Falzari - 1/1/2005

Una piccola doverosa premessa la vorrei fare. Io non so nulla di musica. Nel senso che non la so leggere: al di là delle nozioni di solfeggio più elementari non sono mai riuscita ad andare. Però ho ascoltato e ascolto tanto, con grande curiosità. Non so dare delle definizioni tecniche, ma resto profondamente convinta che la buona musica sia, al pari di una buona pietanza o di un buon vino, assaporabile e riconoscibile da chiunque vi si accosti in maniera aperta. Del resto la maggior parte della gente che sente musica non ha competenze specifiche e "va a gusto"; e le "papille" (le chiamerei così anche parlando di ascolto) premiano un tono equilibrato, ottenuto da buoni ingredienti e da mani esperte.

Se penso a un'innata perfezione dentro un brano musicale moderno non riesco ad esitare: part I, tredicesimo minuto. Per la precisione, prima parte del Köln concert di Keith Jarrett.

Si tratta di un passo di storia della musica contemporanea che ci fa tornare indietro nel tempo al gennaio 1975.

L'incipit discreto dà l'idea di varcare la soglia di una casa con le pareti di cristallo, immersa in una foresta.

Poi piano piano si spiega, alcune note si fanno più pesanti di altre, quasi a puntualizzare il discorso. E' Jarrett che ci parla così, suonando. E' talmente concentrato sulle note che tradisce appena appena, poi in maniera sempre più evidente, l'accompagnamento con quei tipici "lamenti" che segnano il suo trasporto nel fare musica, dal vivo.

Una volta che si è così presentato a chi l'ascolta si sente libero di argomentare ed ecco che cresce, cresce, ci porta in alto e poi ci lascia lì, a librare nell'aria; lui torna in giù, è come se riprendesse la scalata da un altro versante della montagna e sale, sale sale ancora, ce lo ritroviamo di nuovo davanti, ancora stupiti dall'ascesa precedente, l'abbiamo ri-sentito e ri-visto raggiungerci in alto da un altro sentiero.

Ho parlato di perfezione al tredicesimo minuto non a caso: questa parte del concerto dura infatti 26 minuti. E' come se in quel momento arrivasse nuovamente in vetta, tenendoci lì, per poi ricominciare a prendere la via di spirali discendenti, non prive di altre meraviglie.

La seconda parte è divisa in tre. C'è sicuramente una componente più giocosa, ammiccante. Le note basse diventano quasi un mantra che rende impossibile non iniziare a battere il ritmo; è come se fosse un altro modo per le note di entrarci sotto pelle e inebriarci.

Mentre si ascolta ci si dimentica che è un disco, basta chiudere gli occhi e si è “lì”. Ci riportano alla realtà solo gli applausi alla fine di ciascuna parte.

Ricordo la sensazione davanti a Jarrett dal vivo, non si può fare altro che restare a bocca aperta e farsi attraversare da questo fiume in piena. E trovarsi anche in lacrime.

Tutto questo per 66 minuti della più pura e "semplice" improvvisazione di un uomo al pianoforte.

K. Jarrett, The Köln Concert,
ECM Records, 1975
Tracklist: part I - part II a - part II b - part II c

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