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L’Angelo con la pistola

di Alessandro Borgogno - 4/7/2011

Questo alligatore non verrà lineare come altri, perché lo scriveremo con gli occhi un po’ lucidi.

Tutti gli addii ci lasciano un po’ più vuoti e un po’ più soli. Ma quello di Peter Falk ci lascia anche un po’ orfani, e sicuramente più tristi. Orfani di uno zio simpatico e intelligente, indimenticabile, che stava sempre un po’ da parte alle feste o alle riunioni di famiglia ma senza il quale nessuna festa e nessuna riunione di famiglia poteva dirsi tale.

Sarà pure che si portava dietro fin da piccolo i segni dello scampato pericolo, un tumore all’occhio che lo costrinse a presentarsi a tutti con una protesi oculare fin da quando aveva tre anni, e certo non si può dire che quello sguardo del tutto particolare non abbia segnato la sua carriera e la sua intera vita.

Come quasi tutti i grandi, aveva cominciato con i grandi, e le sue prime apparizioni televisive risalgono, guarda un po’, ad alcuni lontani episodi di Alfred Hitchcock presenta. Poi è entrato nel cinema da una grande porta, quella di Frank Capra nel suo delizioso Angeli con la pistola.

E poi, naturalmente, è arrivato il Tenente Colombo.

Non si dirà mai bene abbastanza di uno dei serial televisivi più innovativi e intelligenti degli anni settanta. E anche qui, certo non per caso, la banda che ha dato vita a quel gioiello portava i nomi di Falk, del suo grande amico John Cassavetes, di Gena Rowlands e annoverava la partecipazione di alcuni giovani, diciamo così, brillanti, tipo Steven Spielberg, che ne diresse anche un paio di episodi nella primissima serie.

E nulla avrebbe davvero funzionato se non ci fosse stato lui, capace di dare corpo e anima ad un personaggio unico nel suo genere, dall’intelligenza acuta e penetrante come Philo Vance, ma totalmente all’opposto come livello sociale e visione del mondo. Più avanti nel tempo la sua connotazione anticlassista si è un po’ persa, ma è indubitabilmente il perno dell’intero meccanismo: Colombo si muove sempre in ambienti altolocati, fra ricchi e presuntuosi Vip che pensano sempre di avere il mondo in mano e di potere tutto. Lui non sarebbe mai ammesso in ambienti e situazioni del genere, ma ci può entrare sempre e comunque perché è un bravo funzionario che fa il suo dovere (come Maigret). Ed entrandoci non solo scompagina e mette in imbarazzo le convenzioni di facciata che regolano quel tipo di società, ma alla fine, immancabilmente, li mette in ginocchio con la sua logica ferrea, con la sua capacità deduttiva, con la semplice e inattaccabile forza dell’intelligenza.

E non sarà un caso che nonostante tutti i suoi strepitosi successi il Tenente Colombo non farà mai carriera, e resterà, anche un po’ grottescamente, sempre e solo un tenente. La carriera, gli avanzamenti, il riconoscimento da parte della società non sono cose per lui. Lui vive bene così, con la sua indispensabile moglie genialmente mai mostrata, con il suo cane che si chiama “cane” e la sua automobile improponibile, ed ogni volta, dal basso della sua scala sociale, ci vendica tutti inesorabilmente incastrando grandi finanzieri, banchieri, scrittori, dandy di qualsiasi tipo che nella loro presunzione di essere padroni di tutto sottovalutano regolarmente la sua tenacia e la sua capacità di pensiero.

E così anche nella vita e nella carriera, nel momento in cui il successo televisivo gli spalanca le porte del grande cinema, Peter non ci si butta incondizionatamente, ma prosegue a fare cinema con chi vuole lui, i suoi amici, le persone in cui crede. Infila così dei gioielli recitativi sotto la direzione di Cassavetes (Mariti, Una moglie) e alcune deliziose commedie da protagonista (Pollice da scasso e Una strana coppia di suoceri).

Talmente unico da favorire anche il colpo di genio di altri. Wim Wenders azzecca l’idea più felice del suo mastodontico e presuntuoso Il Cielo sopra Berlino affidandogli la parte di se stesso (soprattutto il se stesso di Colombo) e presentandolo come angelo che ha lasciato le sfere celesti per la vita mortale.

E altrettanto indimenticabile la sua carica autoironica nella fulminante partecipazione a Invito a cena con Delitto dal testo di Neil Simon, dove impersona un detective tutto americano e tutto d’un pezzo alla Sam Spade ma inevitabilmente anche autocitazionista del suo Tenente di Los Angeles, smontandone con caparbietà tutte le presunzioni e tutti i luoghi comuni, e rendendo esilaranti anche i dialoghi più triviali (Lui: “Vado a pisciare”. Lei: “Vengo con te”. Lui, con aria da Marlowe: “No tesoro, ci sono momenti in cui un uomo deve essere da solo”).

Dato che il destino, o Dio o chi per lui, sono sempre imperscrutabili e a volta beffardi, l’attore che aveva fatto dell’intelligenza sua e dei suoi personaggi il suo marchio di fabbrica è stato colpito in vecchiaia proprio nella sua principale dote: a Peter Falk viene diagnosticato quattro anni fa il morbo di Alzheimer, e passerà gli ultimi anni probabilmente ignaro di ciò che è stato, di ciò che ci ha dato e di ciò che gli accadeva intorno. Forse è anche un bene, perché come spesso accade gli ultimi anni hanno visto battaglie legali fra la figlia e la seconda moglie per il suo affidamento. Cose tristi, dalle quali almeno speriamo che il morbo, nella sua equanimità, lo abbia risparmiato.

E ora, ogni volta che capiteremo col telecomando su una delle immancabili e interminabili repliche delle puntate di Colombo, sentiremo un vuoto in più. E proprio ora però, dopo averle maledette chissà quante volte per l’eccesso di sfruttamento che ne ha fatto Rete4, ci verrebbe da sperare che continuino a trasmetterle per sempre. Magari ci facessero anche un canale apposito, dove in ogni momento, se qualcuno di noi volesse ridargli un’occhiata e sentirsi meno stupido di come normalmente ci fa sentire la nostra televisione, possa ritrovare il suo sguardo obliquo, il suo impermeabile, il suo taccuino, il suo tornare sempre indietro all’ultimo momento, quando l’interlocutore pensa di averla scampata, per piazzargli lì la domanda più bruciante, quella che non lo farà dormire. E vederlo ancora sconfiggere il male e la presunzione con la sola forza del suo cervello.

L’intelletto puro contro il potere del denaro, questa è la messa in scena che per decenni Peter Falk ci ha messo davanti agli occhi, e facendolo sempre con ironia e leggerezza.

Lezione indimenticabile.

Ah, un’ultima cosa...

 

Peter Falk, giugno 2011