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Il Grande Blake

di Alessandro Borgogno - 24/12/2010

C’è qualcosa che almeno per me identifica Blake Edwards più di qualunque altra. Non è la meravigliosa e leggera eleganza di Colazione da Tiffany, e non è neanche l’esilarante goffaggine dell’ispettore Clouseau nelle disavventure della Pantera Rosa, è un film assolutamente unico che comincia con questa scena.

Siamo su un set hollywodiano dove si gira un film di guerra. Su una collina una comparsa in costume fa la parte del trombettiere dell’esercito. Suona la tromba, in modo discutibile. Poi viene colpito e si accascia.

Silenzio. Poi si rialza un po’ fatica e riprende a suonare, sfiatando le note. Gli sparano di nuovo. Cade. Sembra morto. No. Lentamente si tira su di nuovo. Sputa di nuovo nella tromba facendone uscire lamenti strazianti.

Nuovo sparo. Cade ancora. La pausa è ancora più lunga. Stavolta è morto. No, si alza ancora. Tenta ancora di suonare e il suono è sempre più inascoltabile. E così via.

Qualcuno, ora non ricordo chi, ha detto assai correttamente che il comico non è altro che “tragedia più tempo”. La scena iniziale di Holliwood Party è un saggio da manuale sull’autenticità di questa affermazione.

Bisogna vederla, per capire come i tempi dilatati di una scena del genere, di per sé forse soltanto curiosa o divertente, la trasformino in qualcosa di irresistibile.

Holliwood Party è stato il capolavoro assoluto di Blake Edwards, e un capolavoro ineguagliato di tutto il cinema comico americano, probabilmente l’unica vera grande comica dell’epoca del sonoro e del colore.

E’ un film stranissimo, attraversato da un immenso Peter Sellers che con la sua aria innocente di indiano trapiantato ad Hollywood provoca con la massima naturalezza un crescendo di disastri difficili da immaginare (e difficilissimi da progettare, per chi ha scritto il film). Ma la cosa che rende tutto così assolutamente geniale è il ritmo che Edwards ha voluto imporre ad un film che poteva essere un semplice divertissment con le classiche catastrofi a catena. Il ritmo è lento, a volte lentissimo. C’è un rischio che lo spettatore distratto rischia di subire, ed è non capirlo (il ritmo). Però, appena appena ci si lascia prendere dalla leggerezza con cui la storia procede, diventa ipnotico e assolutamente irresistibile. Dubito si possa ridere di più di quanto non ci permettano di fare Edward e Sellers con il loro gioiello se ci lasciamo catturare dalla loro apparente lentezza.

Perché è proprio quella lentezza, nell’accadere dei fatti e nelle reazioni del protagonista, che rende ogni avvenimento inevitabile, inarrestabile, impossibile da contenere fino alle conseguenze più disastrose.

Esemplare un’altra scena in bagno, dove Sellers dopo aver espletato le sue funzioni corporali a lungo trattenute, prende un pezzo di carta igienica. E il rotolo comincia a srotolarsi, lentamente, inesorabilmente. E lui guarda, e non lo ferma. Non può fermarlo. E’ una forza sovrannaturale che continua a srotolarlo riempiendo il bagno di carta e preludendo ad altri sempre più terribili disastri ai quali non ci si potrà opporre.

Hollywood Party è una slavina, parte con un sassolino insignificante in cima al monte che rotola piano piano, e più si ingrossa la valanga più rallenta ma al tempo stesso più diventa inarrestabile. E’ un meccanismo assolutamente perfetto e di una originalità ancora insuperata.

E di questa comicità geniale e inconfondibile, più che nei film che portano la Pantera Rosa nel titolo, se ne possono ritrovare preziosissimi spicchi nel primissimo film dell’ispettore Clouseau, Uno sparo nel buio. Già la scena iniziale, con una quantità inverosimile di personaggi che entrano e escono da alcune stanze, tutti furtivi, tutti di nascosto uno dall’altro, è un saggio di surrealismo comico come se ne trovano pochi altri.

Personalmente mi sento di ricordarlo così, il grandissimo Blake. Le citazioni di film sarebbero tante, fra tutti Victor Victoria, ma per me è inevitabile associarlo all’immenso Peter Sellers e ai loro giochi stralunati nei quali sono riusciti a coinvolgere il mondo intero.

Permettetemi di citare ancora un esempio, sempre da Hollywood Party. E’ un dialogo fra l’indiano Sellers e uno degli invitati del festino. Lo trovo significativo perché a leggerlo così potrebbe sembrare un dialogo preso da uno qualunque dei nostri sguaiati cinepanettoni:

- Ma chi si crede di essere lei?
- In India non crediamo di essere, sappiamo di essere.
- Protettori di vacche!
- Come sta sua sorella?

E invece bisogna vederlo, o immaginarselo con tempi lenti, da dialogo di cortesia fra invitati, con le pause giuste, e soprattutto con Sellers che pronuncia le sue battute con il sorriso più innocente del mondo stampato in faccia, senza traccia di cattiveria. E magicamente diventa esilarante.

Tragedia più tempo, dicevamo. E i tempi che è riuscito a creare e a dilatare Edwards nelle sue commedie sono unici e, temo, irripetibili.

Grazie Blake, ci hai fatto davvero ridere.

 

Blake Edwards, dicembre 2010

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