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Grazie Mario

di Ilaria Scala - 30/11/2010

Guardie e ladri. Padri e figli. I soliti ignoti. La grande guerra. L’armata Brancaleone. Amici miei. Il Marchese del Grillo. Speriamo che sia femmina.

Per chi ama il cinema (e in particolare quello italiano, e ancor più in particolare la commedia degli anni ’60 ma non solo), questo è un elenco di monumenti, ognuno dei quali, solo a pronunciarne il nome, evoca immagini, volti, battute, storie, personaggi. Un mondo. Un’atmosfera che nella realtà attuale non c’è più, ma che esisterà per sempre grazie a chi ce l’ha raccontata. Grazie a chi ha messo insieme queste storie, immagini e personaggi. Grazie a chi ha radunato nella stessa inquadratura, e impresso sulla stessa pellicola, Vittorio Gassman e Alberto Sordi, Vittorio Gassman e Totò, Totò e Aldo Fabrizi, Marcello Mastroianni e Nino Manfredi, Alberto Sordi e Paolo Stoppa, Ugo Tognazzi e Philippe Noiret, Philippe Noiret e Catherine Deneuve e Liv Ullmann. Grazie a chi non si è mai stancato di descrivere i nostri vizi e il nostro spirito, di riderci su senza vergognarsene troppo, di non temere di infilare l’ironia laddove tutti si sarebbero aspettati il pudore, il dramma dove tutti si sarebbero aspettati il lieto fine, l’emozione dove tutti si sarebbero aspettati il cinismo e la zampata dove tutti si sarebbero aspettati la delicatezza. Grazie a chi ha lavorato con maestri del calibro di Age e Scarpelli e Suso Cecchi d’Amico, costruendo opere d’intrattenimento frutto di talento collettivo che la storia classifica ormai tra le opere d’arte.

Quest’uomo da ringraziare, che ieri, dopo 95 anni e circa 50 regie, ha deciso di raggiungere i suoi colleghi Mastroianni, Sordi, Gassman, Manfredi, Fabrizi e Totò, è Mario Monicelli, “toscanaccio de Roma”, anzi del Rione Monti che tanto amava (al punto da dedicargli il suo ultimo film-documentario).

Se un aldilà esiste, ci piace immaginarcelo a tavola con gli altri Grandi, a chiedersi perché nell’attuale cinema italiano non esista più una via di mezzo tra il cine-panettone e il cine-polpettone, e perché l’attuale generazione dei suoi successori si proponga solo di anestetizzare o di mobilitare, senza mai – semplicemente, con intelligenza – di intrattenere.

Che non è mica facile, sapete. Non è facile far pensare e intanto piangere con storie molto tragiche o molto serie. Ma è assai meno facile far pensare e intanto ridere, e tenere in equilibrio l’arguzia, la riflessione, il sorriso, l’amarezza, il sarcasmo. Assai meno facile, e lui ci è riuscito sempre.

Grazie Mario.

 

M. Monicelli

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