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Il cattivo amico americano

di Alessandro Borgogno - 1/6/2010

Per tutti resterà sempre il capellone con cappello alla guida di un impossibile Chopper lungo le strade americane, a fianco di Peter Fonda-Capitan America.

Easy Rider, che fu anche il suo folgorante esordio alla regia, segnerà il cinema americano così come probabilmente segnerà lui per tutta la sua carriera. Talmente folgorante l’esordio, infatti, da non riuscire più a ripetere, da regista, nulla di simile.

Dennis Hopper rimase per sempre legato a quella immagine e a quelle scene, al contemporaneo esordio da attore di Jack Nicholson che proprio grazie al successo di quel film decise di proseguire la sua carriera.

Talmente legato che sicuramente molti frequentatori di cinema meno attenti non lo avranno neanche riconosciuto nelle sue ricchissime interpretazioni successive, proseguite anche con successo fino agli ultimi anni, prima che il cancro alla prostata sferrasse il suo attacco finale contro la sua vitalità.

Da regista firmò altri buoni film, fra tutti Colors. Di sicuro le sue scelte non furono mai del tutto conformiste, fedele fino in fondo all’immagine di hollywoodiano maledetto che quel film del 69 ormai gli aveva, meritatamente, attribuito.

Di Easy Rider si può dire, oltre alla sua già notevole prova di attore, che senza dubbio spalancò, chissà quanto involontariamente, le porte al nuovo cinema americano. Quello di Coppola, di Cimino, di Scorsese e poi di De Palma e di Spielberg.

Storicamente, un merito non da poco.

Cinematograficamente, Easy Rider è un film sopravvalutato nei contenuti (ispirato, tra l’altro, al Sorpasso di Dino Risi) e anche nella sceneggiatura (lineare e anche un po’ pesante per buona parte del film) ma decisamente innalzato alle più alte vette con i tre minuti finali.

Quella scena (che non riveleremo immaginando che esista ancora al mondo qualcuno che non la conosce) ha tempi e spessore da grande romanzo tanto indissolubilmente legata alla visione dell’intero film, perché comunque bisogna arrivarci dopo aver seguito i due protagonisti, magari anche annoiandosi un po’, ma per tutte le due ore di viaggio in moto, e aver ascoltato le frasi “Parlare di libertà e essere liberi sono due cose diverse” e “Parlano, parlano di libertà, ma quando vedono un uomo libero, allora ne hanno paura”.

Quella scena finale fa meritare da sola l’inserimento di Easy Rider, e del suo autore appena scomparso, nell’Olimpo del cinema.

Ma ridurre Dennis Hopper al suo film d’esordio sarebbe un’ingiustizia.

Pur restando un personaggio discutibile (ogni tanto assalito da deliri di onnipotenza artistica) è stato soprattutto un ottimo attore.

Sue grandi interpretazioni le abbiamo incontrate in Apocalypse Now di Coppola e ne L'Amico Americano di Wenders.

Inoltre, la sua presenza scenica è sempre stata sufficientemente caratterizzata da non poter mai limitarsi a comparsate o a ruoli di contorno, ma quantomeno a personaggi di potente contrappunto per il protagonista.

In una parola, il cattivo.

Citando il comandamento del sempre immancabile Hitch secondo cui “più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film”, ci sembra giusto ricordare che suoi sono stati fra i migliori cattivi degli ultimi decenni di Hollywood: il terrorista di Speed e il capo degli Smokers di Waterworld.

Una presenza non sempre comoda nel cinema e nella cultura americana, anche politicamente (il simbolo della ribellione anni Sessanta era in realtà Repubblicano, ma dopo la presidenza di Bush jr aveva deciso di impegnarsi nella campagna elettorale per Obama).

Inevitabilmente, specializzandosi nel ruolo del cattivo, dopo la primissima volta ha dovuto continuare a morire decine di volte, spesso in modo violento e fantasioso, a volte anche eroico.

E nel suo voler apparire ancora in pubblico fino a meno di due mesi fa in occasione dell’assegnazione della meritata Stella con il suo nome sulla Hollywood Walk of Fame, immobilizzato su una sedia a rotelle da una mancanza totale di forze e da un peso impressionante di soli 45 chili, ma ancora vivo e con gli inconfondibili occhi vispi e attenti, ha in qualche modo voluto regalare anche alla sua morte reale un pizzico di eroismo, stavolta vero e non sceneggiato da nessuno.

 

Dennis Hopper, 30 maggio 2010

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