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Di nuovo tante condoglianze

di Alessandro Borgogno - 20/4/2010

Prima o poi doveva accadere anche a lui, ed ora è accaduto. Raimondo Vianello è morto. E’ morto da anziano, quasi come chi non ha più nulla da chiedere alla vita, con quell’aria da adulto un po’ ingobbito che ha sempre avuto anche quando era giovane, quasi che giovane non lo fosse mai stato.

In casi come questi si finisce sempre a ricordare cosa resta più indelebile del personaggio fra tutte le cose che ha fatto. Per il sottoscritto non ci sono dubbi: le sigle finali dei suoi varietà negli anni 70. Tutti ricordano senza dubbio il suo indimenticabile Tarzan, ma io ancora di più quelle nelle quali, ad ogni sabato sera, vendicava simbolicamente il pubblico sterminando ogni volta in modo diverso i Ricchi e Poveri impegnati nell’ennesima canzone smielata e bucolica. Indimenticabile la versione nella quale li pialla sotto una schiacciasassi.

Basterebbero quelle sigle finali a descrivere tutto il suo genio. Il finale sempre diverso costringeva tutti a guardare i titoli di coda fino alla fine (titoli che ormai nella tv di oggi non esistono neanche più), ed ogni volta liberava il pubblico con lo sberleffo più sarcasticamente cinico possibile, coniugando, come solo lui ha sempre saputo fare, l’eleganza con la cattiveria.

Altra immagine per me indimenticabile, nella sterminata produzione di scenette comiche, la sua interpretazione del saltatore in alto che inizia con i classici tic (scrollo di braccia, movimenti della testa a mimare il salto) e termina in un delirio di movimenti sconnessi per essere portato via in barella mentre si agita ormai scompostamente come un indemoniato senza essere riuscito neanche ad iniziare la rincorsa.

La galleria sarebbe interminabile, e sempre e comunque inesaustiva.

Sforzandoci sempre di essere obiettivi anche e soprattutto nel momento dell’addio, non possiamo neanche tacere le sue cadute di stile. Una sola in realtà, ma purtroppo sicuramente il punto più basso della sua impeccabile carriera. Risale a quando nel '94, in piena campagna elettorale appena invasa dalla “discesa in campo” dell’allora suo padrone Berlusconi, si piegò anche lui alla miseria della propaganda più bassa e subdola, dichiarando il suo voto in una orribile scenetta con la sua valletta (la finta svampita Antonella Elia) nel bel mezzo di una innocente trasmissione sportiva.

Una caduta imperdonabile, che forse non a caso non ha mai più ripetuto, che all’epoca mi intristì terribilmente così come intristì anche Michele Serra, che dichiarò sconsolatamente che mai avrebbe voluto vedere un inarrivabile signore come Vianello scendere al livello di un maggiordomo di lusso.

Posso dire però, che forse anche questo episodio ci aiuta a comprendere almeno due cose importanti. La prima è l’effettiva grandezza del personaggio: quell’uscita fece un effetto tanto brutto e sconsolante proprio perché si trattava di Lui, cioè di qualcuno che miracolosamente riusciva sempre ad essere al di sopra di qualsiasi volgarità e di qualsiasi ineleganza. La seconda è la constatazione, in questo caso oggettiva, che certe situazioni, certi ambienti, certo modo di vedere la vita e la società, riescono davvero a rovinare qualunque cosa tocchino, e a sporcare anche una carriera luminosa e pressoché perfetta come la sua.

Tant’è, la forza di Raimondo Vianello probabilmente si dimostra tale anche in questo, nell’essere sempre riuscito ad essere talmente di tutti che nessuno potrà riuscire a portarlo solo dalla sua parte. Elegante, infine, anche nel ritirarsi dalle scene un paio di anni fa senza prolungare a tutti i costi una carriera che lui per primo aveva capito benissimo non avere più niente di nuovo e davvero significativo da dare.

A lui dobbiamo la forza di scherzare su tutto, di essere ironici fino all’estremo senza mai essere volgari (nessuno lo sa più fare). Nelle sue mille apparizioni televisive, soprattutto nel suo periodo RAI, è riuscito a scherzare come nessuno sui temi più inaccessibili, primo fra tutti proprio la morte.

Ha fatto cento volte il vedovo cinicamente consolabilissimo per la perdita della sua amata (sempre Sandra Mondaini esorcisticamente fatta morire centinaia di volte) e altrettante volte ha invertito le parti, calandosi lui nella parte del trapassato, facendoci ridere ogni volta persino della sua possibile dipartita.

Ecco, forse in questo momento l’omaggio migliore che gli si potrebbe rendere sarebbe proprio trovare una delle sue battute cinicamente micidiali per commentare la sua morte, salutandolo con una di quelle risate che riusciva immancabilmente a trasmetterci mentre ci regalava sottobanco una visione della vita per nulla superficiale ma salvificamente distaccata e purificatrice.

Ma nessuno è in grado di riuscirci. Ci vorrebbe lui.

E lui non c’è più.

 

Raimondo Vianello

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